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APPELLO

Salviamo le razze suine autoctone italiane, l’allevamento estensivo e di piccola scala: un patrimonio del nostro Paese rischia di scomparire per sempre, a causa della gestione sanitaria della Peste Suina Africana

Al Commissario Straordinario alla peste suina africana (PSA)

Giovanni Filippini


Al Ministro dell’Agricoltura,

della Sovranità Alimentare e delle Foreste

Francesco Lollobrigida


Da tre anni ormai la peste suina africana si allarga progressivamente, senza dare tregua. Il contagio si diffonde negli allevamenti di suini e gli animali abbattuti si contano ormai a decine e decine di migliaia. Il contagio si propaga sul territorio attraverso i cinghiali e tramite le attività umane (spostamenti, abbandono di rifiuti infetti) ma entra negli allevamenti soprattutto a causa di errori gestionali degli operatori.

I numeri delle macellazioni forzate e degli abbattimenti preventivi legati a questa emergenza già di per sé sono impressionanti, ma è in atto anche un dramma collettivo che sta passando sotto silenzio: la fine di tanti piccoli allevamenti estensivi e semi-estensivi.

Chiudono aziende che sono un presidio del territorio in aree interne, montane, dove costituiscono alcune tra le poche attività produttive possibili, e chiudono anche innumerevoli allevamenti famigliari.

Con loro perdiamo saperi artigianali e il patrimonio gastronomico che sta alla base della fama internazionale dei salumi italiani. E perdiamo esempi di allevamento virtuoso, in grado di garantire agli animali il rispetto dei bisogni etologici, rappresentativi di una connessione autentica con la Natura. Con loro perdiamo anche un tessuto sociale difficile da ripristinare.

Ma c’è un aspetto particolarmente grave in questa vicenda: rischiamo di perdere le ultime razze suine autoctone, strettamente collegate alle migliori produzioni norcine italiane.

Nel nostro Paese sono registrate 8 razze tradizionali, tra queste la Cinta senese, che ha ottenuto la DOP per le sue carni; altre 4 sono Presìdi Slow Food (Suino Nero dei Nebrodi, Suino Sardo, Mora Romagnola, Suino Nero Pugliese), ma esistono anche la Casertana, il Nero di Parma, che alcuni allevatori incrociano con la Large White con eccellenti risultati per la norcineria tradizionale, e il Nero di Lomellina o Nero del Piemonte.

In varie località italiane si stanno riscoprendo popolazioni a pelo scuro, rustiche e adatte all’allevamento estensivo, come il Nero Abruzzese o il Nero Apulo Calabrese. 

Queste razze e popolazioni contano poche migliaia di capi ciascuna. Ogni razza è custodita da poche decine di allevatori, spesso anche meno. Si tratta dunque di un sistema ben radicato, ma in realtà potenzialmente molto fragile, che rischia di scomparire definitivamente a causa di scelte gestionali che poco hanno a che fare con una reale mitigazione del rischio.

Molti allevatori stanno chiudendo le proprie aziende o stanno valutando di farlo, con grave danno per chi lavora carni di qualità per salumi tradizionali.

Purtroppo, le normative di contrasto alla peste suina non prevedono attenzioni specifiche per queste razze e per questi sistemi di allevamento su piccola scala e, laddove si verificasse un focolaio, gli animali - compresi i riproduttori - dovrebbero essere abbattuti, come è già purtroppo successo.

Questo appello richiama l’attenzione sull’urgenza di prevedere meccanismi di deroga alla macellazione immediata, così come lo stanziamento di fondi che consentano di portare in sicurezza in altri luoghi i riproduttori, laddove le aziende fossero in prossimità di focolai. Chiede inoltre di verificare l’effettiva presenza della malattia nei suini e prevedere quarantene, cercando di evitare la macellazione immediata a priori.

Contestualmente, è necessario prelevare seme dai riproduttori di queste razze e stoccarlo in centri sicuri per non perdere nemmeno una linea genetica, remunerando gli allevatori per il duro lavoro collegato a queste operazioni. Non solo: è importante verificare che il seme già stoccato in varie banche sia ancora attivo. Le recenti esperienze di perdita del seme delle razze bovine Garfagnina, Pontremolese, Mucca Pisana e Calvana dovrebbe mettere in guardia su questo aspetto.

Facciamo appello a questo proposito in particolare al Ministero dell’Agricoltura, titolare della salvaguardia del patrimonio zootecnico nazionale.

La stessa FAO afferma la necessità di mantenere le razze animali all’interno dei sistemi produttivi tradizionali (in situ) affiancando a questa pratica la conservazione di materiale genetico in apposite criobanche. La crioconservazione, ovvero il congelamento di spermatozoi, ovociti ed embrioni, in azoto liquido a -196°C, consente di disporre di backup nei casi in cui nelle popolazioni da salvaguardare si verifichino problemi genetici. La crioconservazione in banche (ex situ) diviene strategia di elezione, quando le metodologie di conservazione in situ sono inefficaci. Solo così si può mantenere la variabilità genetica ed evitare l’estinzione della razza.

Nonostante il crescente clima di disorientamento e sfiducia, riteniamo necessario un costante dialogo costruttivo con le istituzioni. 

Chiediamo quindi che siano prese in considerazione le richieste tecniche sottoposte da Slow Food Italia, Veterinari Senza Frontiere, Federbio, Aiab, Associazione Rurale Italiana, già nel dicembre 2023 alla struttura commissariale per l’emergenza. 


Ne riportiamo una sintesi a seguire:   

 1. Protezione degli allevamenti dalla peste suina africana

  • Problemi - Gli allevamenti definiti “fragili” (bradi e semibradi, custodi di razze autoctone o loro incroci, spesso gestiti in regime biologico) si trovano solitamente in aree interne, dove è più alto il rischio di contatto con la fauna selvatica. Tuttavia, sono generalmente distanti dagli impianti intensivi e presentano fattori di rischio molto differenti rispetto a questi ultimi. È essenziale considerare e gestire tali diversità, valorizzando i punti di forza degli allevamenti fragili, come le minori movimentazioni per allevamento o macellazione.
  • Soluzioni proposte – È essenziale sviluppare ed adottare misure di biosicurezza per gli allevamenti di piccole dimensioni (<300 capi) ed estensivi che contribuiscano a mitigare i reali fattori di rischio in questi contesti d’allevamento, verificando e risolvendo preventivamente l’eventuale incompatibilità con normative di carattere ambientale o edilizio. Incentivare la realizzazione di recinzioni per isolare i suini domestici dai selvatici attraverso il loro finanziamento al 100%, in tutte le regioni. In questo modo si ridurrebbe il rischio di trasmissione del virus nei piccoli allevamenti e si garantirebbe maggiore sostenibilità delle misure di biosicurezza, con minore impatto economico per i produttori locali.

 2. Salvaguardia del patrimonio suinicolo in zone infette

  • Problemi - L’obbligo di svuotare forzatamente gli allevamenti nelle “zone di restrizione 2” può compromettere la biodiversità e la sopravvivenza di razze autoctone e considerate a rischio di estinzione, in particolare negli allevamenti definiti "fragili". Si ricorda che l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile nel suo punto 2.5 identifica la conservazione della diversità genetica degli animali d’allevamento un punto essenziale per “porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare l’alimentazione e promuovere l’agricoltura sostenibile”
  • Soluzioni proposte - Applicare l’art. 1 comma 2 lettera b del Reg (EU) 429/2016 e l’art. 13 del Reg. (UE) 687/2020 che prevedono azioni diversificate che tengono conto dei “materiali genetici preziosi” e delle “razze rare”, per evitare svuotamenti forzati negli allevamenti che rispettano le misure di biosicurezza.

Potremmo così proteggere la biodiversità e il patrimonio genetico suinicolo, garantendo sostenibilità agli allevamenti tradizionali e rispondendo alle esigenze dei consumatori attenti a qualità, sostenibilità e origine locale del cibo.

 3. Risarcimenti agli allevatori

  • Problemi - I risarcimenti attuali sono considerati insufficienti e penalizzano gli allevamenti biologici e quelli a ciclo chiuso.

Soluzioni proposte - Riconoscere il valore reale dei prodotti biologici e/o provenienti da razze autoctone a lento accrescimento per i risarcimenti, consentire anche la partecipazione di allevamenti che praticano la vendita diretta, garantendo ristori differenti rispetto a quelli per i prodotti destinati alla grande distribuzione.

 4. Riapertura degli allevamenti in zona infetta e macelli designati

  • Problemi - Le misure di biosicurezza rafforzata, sviluppate per allevamenti convenzionali al chiuso, possono rappresentare un peso economico durissimo da affrontare per gli allevamenti definiti "fragili"; inoltre, la tendenza all’accentramento delle macellazioni aumenta il rischio di diffusione del virus.
  • Soluzioni proposte - Separare le filiere di macellazione e favorire l’uso di strutture più piccole, promuovendo la creazione di filiere di macellazione brevi e consentendo ai piccoli allevamenti di macellare suini presso le proprie strutture o in macelli locali. In questo modo si ridurrebbero così gli spostamenti – e il rischio di diffusione della peste – si migliorerebbe il benessere animale e si aumenterebbe l’autosufficienza delle filiere locali.

Cagli, 28 novembre 2024

Invitiamo i rappresentanti delle associazioni, i consorzi, i Presìdi Slow Food e gli altri organismi che riuniscono gli allevatori che custodiscono le razze suine autoctone italiane, i norcini produttori della migliore salumeria tradizionale italiana, i rivenditori e i ristoratori che la valorizzano a sottoscrivere e divulgare questo appello.


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